“La traduzione audiovisiva è una pratica, una tecnica, e un’arte. […] è il risultato di conoscenza e di processi creativi. […] la ‘manipolazione’ dell’adattatore-dialoghista è un lavoro che si misura tanto con la natura del linguaggio […], quanto con gli aspetti concreti della cultura di partenza e della cultura di arrivo. Tutto per ottenere un testo espressivo da un punto di vista pragmatico, culturale ed estetico.” Si tratta di “una disciplina complessa che deve affrontare molte sfide poste dal testo di partenza e dal medium” e il cui “scopo principale” è sempre stato “quello di rendere accessibile un prodotto audiovisivo a un pubblico di spettatori-ascoltatori che non conoscono la lingua di partenza”.
Attraverso concetti teorici, supportati da esempi pratici, Teoria e tecnica della traduzione audiovisiva, a cura di Dino Audino Editore, affronta le numerose problematiche legate alla cosiddetta TAV (traduzione audiovisiva), passando in rassegna sia le tecniche di adattamento per il doppiaggio (lip-sync, simil-sync, oversound) sia la creazione dei sottotitoli (intralinguistici, interlinguistici e per non udenti). Mentre questi ultimi “sono più invadenti, in quanto comportano la sovrapposizione di informazioni sullo schermo,” il doppiaggio “può creare un’illusione quasi perfetta di aderenza tra il volto e la voce.”
In merito all’adattamento dialoghi, nel testo viene spiegato come le diverse tecniche siano associate a determinati prodotti audiovisivi: il lip-sync o sincronismo ritmico labiale è impiegato prevalentemente per film e serie TV, il simil-sync o sincronismo ritmico non labiale è tipico dei reality show o dei cosiddetti factual che hanno monopolizzato il piccolo schermo negli ultimi anni, mentre l’oversound o voice-over “(sovrapposizione leggermente asincrona del doppiato sulla colonna sonora originale, che rimane percettibile in sottofondo)” caratterizza i documentari, ad esempio quelli naturalistici, che noi di WiP tanto amiamo.
Chi fa questo mestiere sa che è imprescindibile lavorare tenendo gli occhi fissi sul video, verificando che il copione rispecchi il parlato originale. Una volta portate a termine le fasi preliminari di preparazione dello script secondo parametri ben precisi, si inseriscono le indicazioni tecniche e di registrazione, per poi passare alla fase più stimolante, quella della traduzione e dell’adattamento vero e proprio, con conseguente prova delle battute ad alta voce, per riprodurre scambi che rispettino le lunghezze di quelli originali.
Adattando, si ha a che fare con una sorta di ”oralità prefabbricata”. Questa pone numerose sfide “che richiedono specifiche abilità linguistiche e tecniche,” oltre che “una grande dose di creatività.”
Tra le criticità principali, nel libro vengono citati gli elementi culturospecifici, come “espressioni idiomatiche, proverbi, ninnenanne, canzoni, giochi di parole, marcatori del discorso, vocativi, toponimi, stereotipi legati al genere e all’etnia, riferimenti al sistema legale […] che solitamente vengono ‘addomesticati’ per privilegiare un immediato riconoscimento da parte dei destinatari della cultura di arrivo,” procedendo a una “ri-creazione lessicale.”
Un’altra problematica è rappresentata dal turpiloquio, che spesso viene edulcorato e neutralizzato, a seconda del mezzo e delle indicazioni che riceviamo dal canale o dallo studio di doppiaggio. Recentemente ne abbiamo parlato in maniera approfondita in occasione del webinar a cura di Maria Teresa Di Lucia, dedicato proprio al turpiloquio e incentrato sul caso studio di Pulp Fiction.
Tra le varie trappole in cui occorre evitare di cadere, viene citata quella del “doppiaggese”, soprattutto nel caso dei film: “la lingua della traduzione audiovisiva è stata spesso paragonata a un gergo, […] una dimensione parallela del linguaggio.” Questo aspetto “riguarda soprattutto il lessico […], calchi e prestiti dalla lingua di partenza.”
Il mestiere di chi adatta i dialoghi per il doppiaggio potrebbe, quindi, essere paragonato a un “gioco linguistico” o, come a volte diciamo durante i nostri corsi, a uno slalom tra diversi ostacoli, quali la lunghezza degli enunciati, il ritmo, i giochi di parole, che spesso fanno riferimento ad elementi presenti a video e di conseguenza non ignorabili, la gestualità dei personaggi, le rime e le allitterazioni, solo per elencarne alcuni.
“Il traduttore audiovisivo deve avere una forte dose di sensibilità per affrontare queste sfide e produrre un testo che sia al tempo stesso fedele e accettabile per il cliente e per il pubblico.”
Con questa pubblicazione, Mara Logaldo, ricercatrice e docente presso l’Università IULM di Milano, con la quale abbiamo avuto l’opportunità di collaborare, fornisce un ottimo punto di partenza per orientarsi nella complessa realtà della traduzione audiovisiva, corredando il testo di un’ampia bibliografia, tutta da approfondire. Così come da approfondire sono anche i capitoli relativi agli elementi visivi dell’audiovisivo, al dialogo filmico, e alla tecnica articolata quanto interessante della sottotitolazione, che lasciamo a voi il piacere di sfogliare, sperando che vi possiate interessare a un mestiere che noi continuiamo a svolgere con passione e che non ci stanca mai.