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Storie di un’interprete medica in corsia

Pick me, choose me, love me (Prendi me, scegli me, ama me)

A inizio anno, come la maggior parte di noi, ho sfogliato l’infinito elenco de Il Libraio con oltre 400 novità in uscita nel 2025, senza troppe aspettative perché si sa, il troppo stroppia. Finita la sezione Narrativa, sono arrivata a metà della Saggistica senza quasi accorgermene, fino a quando non mi sono imbattuta in un sottotitolo che ha colto la mia attenzione: “Storie di un’interprete medica in corsia”. Con il pensiero mi sono ritrovata tra i banchi della triennale, al corso di trattativa italiano/inglese in ambito ospedaliero, affascinata dalla terminologia medica che amo dalla seconda media, quando guardavo ER, ma terrorizzata dall’interpretariato che non era decisamente la mia strada. Sono quindi corsa sul sito della casa editrice e ho letto che l’autrice traduce anche per Grey’s Anatomy. Say no more. Dovete sapere che potrei recitarvi le prime undici stagioni della serie in inglese, parola per parola, alla perfezione.

Andiamo con ordine: il libro di cui sto parlando è Avrai sempre la mia voce e lo ha scritto Linda De Luca.

Di cosa parla questo libro?

Racconta cosa significa essere interprete medica negli Stati Uniti: quali competenze occorrono per svolgere questa professione che, come vedremo, non sono solo linguistiche, quali sono le regole da seguire, com’è organizzata la giornata lavorativa di un’interprete, quali sono le gioie e i dolori di questo lavoro. Per farlo, l’autrice racconta di sé, della sua formazione e delle sue esperienze in ospedale, dei pazienti che ha incontrato e delle colleghe con cui si è confrontata nel corso degli anni. Vi avverto, qualche lacrimuccia qua e là mi è scappata.

Come spiega l’autrice in questa intervista, classificare il suo libro in un genere letterario è un po’ difficile e forse la definizione che preferisce è “saggio narrato”, ovvero un ibrido tra saggistica e narrativa.

Chi è Linda De Luca?

L’autrice di questo testo ha studiato interpretariato e traduzione in Italia per poi volare a New York dove si è specializzata nell’interpretariato medico, seguendo un corso intensivo grazie al quale ha potuto sviluppare un glossario di base. Dopo aver sostenuto un esame è stata contattata da un’agenzia specializzata che fornisce interpreti agli ospedali, entrando a tutti gli effetti nel magico mondo dell’interpretariato medico. Linda De Luca si è accorta subito che a New York la figura dell’interprete in questo settore è considerata essenziale: se un paziente si dichiara di madrelingua non inglese, la conversazione medico/paziente non può avere luogo se non in presenza dell’interprete.

A questa attività, l’autrice ha affiancato anche quella di insegnante di inglese medico e di traduttrice di serie TV, tra cui la già citata, e da me amata, Grey’s Anatomy e Good American Family, uno dei titoli più attesi del 2025.

Cosa significa essere interprete medica?

Quando Linda De Luca ha frequentato il corso di specializzazione a New York, si è prima di tutto focalizzata sull’acquisizione della terminologia medica in inglese, quindi ha imparato a memoria i nomi delle parti del corpo, di patologie, interventi chirurgici, farmaci e specializzazioni. Poi ha scoperto che l’inglese predilige l’uso degli acronimi, per indicare esami, malattie e figure mediche: per esempio la flebo è una IV (intravenous), l’otorinolaringoiatra è l’ENT (ear nose throat) e la risonanza magnetica è l’MRI. Oltre a ciò, ha dovuto imparare come funziona il sistema sanitario americano e quindi fare amicizia con regole e termini che afferiscono all’universo amministrativo e assicurativo.

Tornando però al rapporto interprete/paziente (e famiglia), non è sufficiente conoscere alla perfezione i nomi delle malattie o dei loro sintomi, ma bisogna sapere anche come approcciare il paziente, quali argomenti trattare in sala d’attesa e quali evitare assolutamente, come gestire lo spazio nel colloquio con il medico, posizionandosi sempre accanto al paziente ma un passo indietro per dare l’idea che la conversazione sia a due e non a tre, quale tono di voce assumere e quanto devono essere lunghe le frasi da tradurre.

Parallelamente, gran parte del programma del corso seguito dall’autrice verteva sulla deontologia professionale, sul rispetto della privacy e sul comportamento da tenere in situazioni delicate. Sebbene possa sembrare tutto molto lineare e facile da seguire, Linda De Luca ci fa notare che vi sono molte “zone grigie” in cui la regola sembra cozzare con il buon senso e il principio di supporto umano, e spetta al singolo individuo gestire i vari casi in base alla propria soggettività e nel maggior rispetto possibile di entrambe le sfere.

C’è però qualcosa che Linda De Luca e altri studenti come lei non hanno potuto imparare durante i corsi di formazione, ovvero la gestione del carico emotivo a cui gli interpreti medici sono sottoposti giorno dopo giorno, alla vista di volti sofferenti e all’ascolto di storie non sempre facili da spiegare ai diretti interessati e ai loro familiari.

Come già accennato, le regole ci sono, le conoscenze linguistiche si acquisiscono, ma è sul campo che si impara a lavorare, che si impara a gestire le proprie emozioni e quelle del paziente, a non considerarsi invincibili, ad avere a che fare con un paziente o un parente che rifiutano l’intervento dell’interprete, a stare accanto a pazienti oncologici pediatrici o ad assistere al primo elettroshock.

Abbassa il registro

Facciamo un passo indietro e torniamo agli aspetti linguistici. Quando Linda De Luca ha iniziato il suo corso a New York, non vedeva l’ora di studiare la terminologia medica, fisiologia, anatomia, biologia, patologia. Ha riscoperto il fascino del latino e del greco, entrambe fondamentali per comprendere l’origine di molte parole scientifiche (mi si è accesa un’altra lampadina: un capitolo della mia tesi della specialistica parlava proprio di questo) e ha scoperto che in inglese spesso le parti del corpo hanno due nomi, uno scientifico e simile all’italiano e uno più colloquiale (ad esempio, le scapole si chiamano scapulae, ma anche shoulder blades). Il primo timore di ogni interprete medico è: “Cosa succede se non conosco o non capisco un termine?”. La risposta che Linda De Luca ha ricevuto al corso è stata inaspettata e, per me che l’ho solo letta, liberatoria: bisogna studiare più che si può, prepararsi al meglio, ricordandosi sempre che non siamo vocabolari ambulanti. Se l’interprete non capisce può e deve chiedere di ripetere, di usare perifrasi, e può servirsi dello smartphone per fare una breve ricerca. Ammettere di avere una lacuna e fare una domanda è sempre meglio di fornire una traduzione errata. Una delle frasi chiave per uscire da questo tipo di situazioni è chiedere al medico di abbassare il registro linguistico. Allo stesso modo, spesso è l’interprete che a sua volta deve attuare una strategia simile per far comprendere al paziente ciò che al suo orecchio poteva sembrare ovvio o intuitivo.

L’intelligenza linguistica

Cosa significa essere intelligenti? Sono tanti i punti di vista che possiamo assumere per dare una risposta a questa domanda. Secondo Linda De Luca, una persona intelligente è quella che riesce a comprendere un punto di vista anche se espresso male, che in una conversazione capisce quando stare in ascolto e quando prendere la parola, chi comprende le dinamiche di una situazione e le sa gestire per far emergere il meglio da tutte le persone coinvolte, chi non si limita a cogliere sentimenti e reazioni ma sa elaborarli e agire di conseguenza per il bene di tutti. Tra i tanti tipi di intelligenza esiste anche quella linguistica che, come tutte le altre, non è solo un’inclinazione naturale ma va allenata con stimoli esterni.

Quando un interprete sceglie un termine o rielabora una frase in un determinato modo sta facendo una scelta dettata anche dalla sua intelligenza linguistica, che lo porta a orientarsi proprio su quell’opzione, a usare un tono di voce particolare, a chiedere chiarimenti o, in fase di ascolto, a cogliere sfumature e sottintesi valutando anche il contesto culturale e le intenzioni del parlante.

Ascolto e condivisione

La vita dell’interprete medica è ricca di gioie, che possono essere del tutto personali, come fare un lavoro che ci piace, scoprire giorno dopo giorno un universo che per noi può essere appassionante come quello della medicina, il corpo umano, la tecnologia, ma può essere ricca anche di gioie lavorative, ovvero sapere di aver contribuito a rendere possibile una comunicazione fondamentale per le persone coinvolte. Al contempo può essere anche molto pesante perché, come Linda De Luca si è sentita dire da una collega navigata, l’interprete non ha solo una voce, ma anche un cuore. Questa condivisione ha portato la nostra autrice a chiedere ad altre colleghe quali fossero le maggiori difficoltà e le gioie più grandi vissute a causa del loro mestiere o o grazie a questo.

Una collega araba le ha confidato che, quando mantiene un atteggiamento più formale, per attenersi alle linee guida della deontologia professionale, spesso corre il rischio di essere rifiutata dal paziente perché sembra che voglia ergere un muro, e ciò compromette la comunicazione verbale e non. Torniamo quindi alla famosa gestione delle “zone grigie”.

Una collega coreana le ha raccontato che, quando percepisce diffidenza o mancanza di fiducia da parte di un paziente, da un lato vorrebbe farsi valere mentre dall’altro vorrebbe solo poter scappare. Allo stesso tempo, non c’è gioia più grande di quando sente un paziente chiedere all’infermiera che al prossimo incontro ci sia proprio lei ad assisterlo.

Altri ancora hanno fatto presente quanto siano sfiancanti gli orari di lavoro, quanto sia stato difficile, nel tempo, far comprendere l’importanza del ruolo dell’interprete nell’ambito sanitario e quanto sia stata determinante, in questo senso, la pandemia di Covid.

Cosa fa, oggi, Linda De Luca?

Oggi l’autrice è tornata a vivere in Italia e non fa più l’interprete medica in presenza, ma continua a farlo online tramite un’app. Anche quando viveva a New York esistevano formule di interpretariato non in presenza, adottate dagli ospedali che non disponevano di fondi sufficienti. Per esempio, negli ospedali newyorchesi esiste una macchina di nome Martti, composta da un monitor su cui compare il volto di interpreti professionisti digitando la lingua desiderata, oppure si possono utilizzare le language line dedicate.

L’autrice si sta focalizzando principalmente sull’insegnamento, sulla traduzione scritta, soprattutto di serie TV e film, e su un progetto importantissimo, ovvero la creazione di un sistema di interpreti medici in Italia. L’obiettivo è quello di restituire dignità a un mestiere altamente specializzato, che non deve essere svolto solo da volontari, ma da professionisti qualificati idoneamente formati e retribuiti.

Come accennavo in apertura, il libro contiene numerosi brevi racconti personali dell’autrice di pazienti con cui si è interfacciata negli anni. Ho volutamente evitato di parlarne perché mi piacerebbe che chi di voi sceglierà di approfondire questa lettura possa scoprire in autonomia queste storie e capire che cosa significa davvero usare l’intelligenza linguistica, saper gestire le proprie emozioni, ascoltare il proprio corpo, farsi spazio nelle “zone grigie” e imparare sul campo.