Tenetevi forte, con @wip_traduzioni faremo un tuffo nel passato per servirvi la #traduzioneacolazione di oggi in un mondo che non esiste più, ma che ha tanto da raccontare. Come bussola in questo viaggio nel tempo useremo uno strumento speciale: il dizionario “Paròli ch’a së smarissan”. Ma lasciate che vi dia qualche coordinata spazio-temporale. Vi porto a casa mia, o meglio, a Chiaverano, paese ai piedi della Serra morenica (la Còsta), negli anni precedenti al boom economico e all’avvento della televisione, che determinarono il progressivo abbandono del dialetto in favore dell’italiano. “Paròli ch’a së smarissan” (“Parole che sbiadiscono”) nasce dall’idea di Franco Crotta, detto Franco ‘d Min, che nel 2014 decise di radunare intorno a sé un gruppo di ultimi “parlanti nativi” del chiaveranese per omaggiare quella che è stata la loro lingua madre attraverso una grammatica e un dizionario. Il frutto di questo lungo e appassionato lavoro è molto più di una semplice raccolta di parole. Sfogliando il dizionario si ripercorre la storia di un paese e se ne riscopre la quotidianità contadina. La maggior parte dei termini non presenta soltanto la traduzione in italiano, ma è corredata da detti e proverbi e, per i lemmi più complessi, anche da una descrizione sintetica per agevolarne la comprensione al lettore moderno. Significativa ad esempio è la descrizione del campanile da cui si desume l’importanza che avevano le campane per una piccola comunità. I rintocchi delle ciòche scandivano la giornata dei chiaveranesi e con gli aviss, una sorta di notifica di WhatsApp ante litteram, avvisavano di eventi più o meno lieti. Alla fine del dizionario si può consultare anche una raccolta di filastrocche della tradizione orale, scovate attraverso interviste ai “vecchi” del paese e in seguito tradotte in italiano dal gruppo di volontari.
Quella nella foto è solo una bozza cartacea perché l’opera è nata in primis in formato digitale, consultabile sul sito del comune. L’intento è infatti quello di tramandare alle nuove generazioni non solo un’eredità linguistica, ma anche senso di appartenenza , tradizioni e radici attraverso il canale a loro più congeniale, il Web.
Grazie a Ilenia Gradinello, che ha scritto per noi questo articolo.