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Mio marito… e altre ossessioni

Per questa #traduzioneacolazione quasi estiva abbiamo deciso di consigliarvi una lettura leggera, perfetta da portare anche in vacanza: Mio marito, di Maud Ventura, tradotto da Mauro Cazzolla per Feltrinelli. A dire il vero, lo spunto arriva da Stefania, che ci segue, e ci ha segnalato questo titolo. Siccome ci piace sempre quando partecipate alla rubrica, abbiamo accettato di buon grado il suggerimento ed eccoci qui a parlarvene.

L’AUTRICE

Maud Ventura, classe 1992, vive a Parigi e ha origini italiane, ma, come specifica nella nota per la versione italiana del libro, non è parente di Lino Ventura, attore amatissimo in Francia, con il quale però condivide un certo destino familiare, che vi lasciamo il piacere di scoprire. Prima che scrittrice, Maud è autrice di podcast di successo come Lalala, una sorta di posta del cuore che le consente di esplorare l’universo delle relazioni e la complessità dei sentimenti umani. Non c’è da stupirsi, quindi, se il suo romanzo d’esordio, Mio marito appunto, è una «visione scanzonata e feroce sulla vita di coppia».

Il LIBRO

Cominciamo col dire che la traduzione non è il tema principale del romanzo, ma piuttosto un ingrediente che fornisce spunti narrativi per far progredire la trama. Il fulcro del libro è, invece, il racconto della vita coniugale della protagonista, una moglie ancora innamorata del marito dopo quindici anni insieme. Sì, detta così sembra una storia banale, ma le apparenze ingannano…

Bastano, infatti, poche pagine per rendersi conto che l’immagine della famiglia invidiabile cela una realtà ben diversa. La protagonista si è conquistata con fatica il kit della felicità: marito e figli perfetti, una grande casa e successo sociale. Lei, che viene da una famiglia modesta, ha dovuto imparare le regole della buona società a cui appartiene il marito e si impegna con costanza per non discostarsi mai dalla parte della moglie ideale: «Sono evasa dalla mia classe sociale per acquisire la silhouette sofisticata che ho sempre sognato. Mantengo il corpo scolpito con lo yoga e il tennis. Ho imparato l’eleganza (che alla fine si basa su tre semplici elementi: un cappotto, una borsa e un paio di scarpe costosissime. Una volta appresa questa santa trinità, il resto vien da sé). […] Insomma, è così che sono diventata una di quelle donne con i collant mai smagliati e ho imparato ad abbinare il mio aspetto fisico alla casa borghese che io e mio marito abbiamo comprato.».

Tuttavia, nonostante gli sforzi, anche grotteschi, fatti per investire nella vita coniugale perfetta, la nostra protagonista non riesce a conquistare una felicità autentica. Il controllo costante esercitato su sé stessa si estende al marito, che non ha neanche un nome, ma esiste soltanto in qualità di coniuge e oggetto della passione morbosa della moglie e sembra accontentarsi di una relazione tranquilla e distaccata. Per la nostra protagonista, però, non è sufficiente, si convince che non la ami abbastanza e inizia a spiarlo, annotando scrupolosamente su un quaderno (qui prendete un appunto mentale) ogni sua colpa con accanto la relativa punizione da infliggergli. La storia inizia a farsi interessante, e anche un po’ inquietante, vero? Non vi sveliamo altri dettagli della trama, ma vi assicuriamo che il ritmo è incalzante, il tono ironico e irriverente, la tensione sale capitolo dopo capitolo e non manca il colpo di scena finale.

LA TRADUZIONE E ALTRE OSSESSIONI

Ma in tutto questo dove si inserisce la traduzione?

Non vi abbiamo ancora detto che la protagonista insegna inglese ed è una traduttrice editoriale part-time. All’interno del testo non mancano i riferimenti ai libri su cui lavora o alle traduzioni che assegna alla sua classe. Così ci arrovelliamo con lei su un titolo («Waiting for the day to come… “Aspettando che arrivi il giorno?” “In attesa del giorno che verrà”? Questo titolo mi oppone resistenza. Non riesco a restituirne la poesia né a trascriverne il senso concreto»), oppure sul verso di una canzone («Sweep me off my feet. Parola per parola sarebbe: “spazzami dai miei piedi”, ma non significa niente. Vuole dire più o meno “sconvolgimi”, ma così si perde l’idea dei piedi e dell’ancoraggio al suolo»).

Difficile, poi, non annuire leggendo la descrizione del metodo di lavoro, dall’annotare su quaderni di colore diverso il lessico specifico di un settore (natura, politica, scienze, amore… colpe del marito), a come affronta la traduzione di un romanzo: «Ho cominciato col familiarizzare con la struttura del pensiero dell’autrice. Ho scoperto le sue espressioni preferite, il modo in cui le piace iniziare le frasi, le ripetizioni di cui non riesce a fare a meno, gli stilemi a cui è affezionata. Le sono entrata nella testa, ho fatto miei i suoi ragionamenti fino a svelarne il meccanismo di fondo. Dopo vari mesi di lavoro posso finalmente dire che ne ho adottato la mimica e la voce».

Iniziate a intravedere il pattern?

Vale la pena di leggere questo libro non tanto per ciò che viene detto esplicitamente sulla traduzione, ma per la domanda con cui ci lascia: la traduzione è, in fondo, una sottile forma di ossessione? Se ci pensiamo, la protagonista studia, disseziona i discorsi, soppesa le parole, analizza ogni sospiro in cerca di sottintesi e indizi nascosti del disamore del marito. Annota e cataloga dettagli, ci rimugina sopra più e più volte, impersona un ruolo e… tradisce. Non sono forse questi tutti gli ingredienti di una buona traduzione?