“C’è dell’errore nella ragione e c’è della ragione nell’errore. È una cosa da capire bene.” Con queste parole di un samurai del XIII secolo, Hōjō Shigetoki, vi diamo il benvenuto al nuovo “episodio” di #traduzioneacolazione.
Come avrete intuito dall’incipit, oggi vi parleremo di errori, anzi della Storia perfetta dell’errore di Roberto Mercadini. Si tratta di un romanzo leggero quanto basta per una ripresa dolce, ma che riserva spunti interessanti.
I protagonisti del libro sono Pietro e Selene, lui paleoantropologo e lei traduttrice. Pietro, preciso e meticoloso, grazie alla pratica del kendo ha imparato la dedizione e ha raggiunto una calma quasi inquietante che gli ha fatto guadagnare soprannomi come Robocop o Belzebù, ma questa è un’altra storia. Selene è l’esatto opposto, un “piccolo uragano” che vive con Kavanah che in ebraico antico, la passione della nostra traduttrice, significa trasporto, veemenza, “ardore e ardire”, insomma Selene mette l’anima nelle cose, a costo di incendiarle. In breve, Pietro è la razionalità, Selene l’istinto.
Questo sottile equilibrio si rompe quando Selene scopre che la causa dei suoi attacchi di rabbia deflagranti, imprevedibili e immotivati ha un nome: IED, Intermittent Explosive Disorder, Disturbo Esplosivo Intermittente, un “alieno” senza volto che si insinua in lei e prende il controllo delle sue azioni. Convinta che per uno come Pietro, a cui “basta che tutto sia esatto, sia preciso, che i conti tornino”, sia impossibile accettare il suo caos, Selene decide non solo di lasciarlo, ma di sparire e interrompere ogni comunicazione.
Il nostro Belzebù non si arrende e per convincerla di essere in grado di gestire e amare l’imprevedibile, l’imperfezione e l’”errore” in lei, decide di portare avanti un gioco che avevano inventato all’inizio della loro relazione. Ogni venerdì le scrive una mail, unico canale ancora aperto tra loro, narrandole una storia. Anche se lei ha smesso di giocare, lui imperterrito le racconta di errori clamorosi da cui sono nate meraviglie, di perdite che arricchiscono e di cadute che preannunciano rinascite.
Scopriamo così che la luna è nata dal caotico anello di schegge generato dall’impatto del pianeta Theia sulla Terra e rimesso insieme dall’universo nel satellite che dà equilibrio al mondo. Oppure che Michelangelo tentò di sottrarsi in tutti in modi all’incarico di affrescare la Cappella Sistina perché non era il suo mestiere, eppure il risultato ci dice che come pittore è stato unico perché ha trovato il modo di dipingere da scultore. Considerata la passione di Selene per l’ebraico antico, tra le tante storie di errori non mancano i riferimenti alla Bibbia o Mikrà, che nella tradizione ebraica si traduce con La Lettura e non con La Scrittura perché va letta ad alta voce e con la partecipazione di tutto il corpo, in una parola, con Kavanah. Pietro, mettendoci a parte dei suoi ragionamenti, azzarda anche la traduzione di alcune espressioni come “Lech lechà!” con cui Dio manifesta la propria volontà ad Abramo. Non pago, Pietro scomoda anche il mito di Babele e ci dà un’altra interpretazione della frase “Facciamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome”. Dopo qualche ricerca, Pietro ha infatti appreso che il termine shem, nella traduzione ufficiale “nome”, può anche significare simbolo, segno, segnacolo. Secondo lui, quindi, l’umanità coesa decide di farsi un simbolo, un “monumento all’Umanità”.
Secondo voi quali di queste storie ha suscitato una reazione in Selene?
Nessuna.
La prima risposta della nostra traduttrice giunge solo dopo che Pietro commette volutamente un errore, inserendo un dato impreciso in uno dei suoi racconti. Apriti cielo, la furia si scatena e dà vita a un intero capitolo di insulti. La provocazione ha sortito l’effetto desiderato: finalmente una reazione. Sarà sufficiente per riavvicinarli? Non ve lo sveliamo, per scoprirlo dovrete leggere il libro.
Quello che possiamo dirvi è che Pietro ha trovato la chiave, ha capito che non basta vedere e accettare le imperfezioni degli altri, ma bisogna imparare a perdonare anche le nostre. Chi traduce lo sa bene, per quanto ci si sforzi di evitarlo, l’errore è sempre in agguato. Forse il segreto sta nell’accettarlo e nel trarne insegnamento, imparando magari anche a giudicare noi stessi e gli altri con meno severità.
E voi? Qual è il vostro rapporto con gli errori? Vi si alza il sopracciglio alla vista di un refuso oppure riuscite a chiudere uno o entrambi gli occhi?
Ringraziamo Ilenia Gradinello, che ha scritto questo articolo per noi.