Avete mai letto il romanzo settoriale Madame Bovary? No, non stiamo dando i numeri: il capolavoro del grande scrittore francese Gustave Flaubert è a tutti gli effetti un concentrato di terminologia specialistica. Un ossimoro, se vogliamo. Come può un testo essere allo stesso tempo narrativo e settoriale? Ci hanno sempre insegnato a distinguere il genere letterario da quello tecnico proprio in base al linguaggio utilizzato, ma qui siamo in presenza di un ibrido davvero niente male. Mentre lo leggi non ci fai granché caso, perché ti lasci trasportare dai sentimenti di Emma, dai suoi patimenti, dalle sue insoddisfazioni e dal modo magistrale in cui Flaubert li descrive e te li fa provare in prima persona. Se però, durante una ricerca in biblioteca, ti imbatti nel saggio Le traduzioni d’autore di Madame Bovary come è successo alla sottoscritta, ti rendi conto di non aver fatto caso fino in fondo alla vastità della cultura personale dell’autore francese, o quanto meno alla sua volontà di essere il più preciso possibile nel far parlare tutti i personaggi in base alle rispettive competenze.
4 traduzioni, tanti linguaggi settoriali
Francesca Parodo, autrice del saggio, si è laureata in Traduzione alla Facoltà di Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Trieste e ha conseguito un dottorato di ricerca in Scienza della Traduzione all’Università di Bologna. Le traduzioni d’autore che ha analizzato e comparato per compiere la propria indagine su Madame Bovary, Moeurs de province (titolo originale del romanzo del 1856) sono quattro:
- La signora Bovary. Costumi di provincia, traduzione di Diego Valeri, Mondadori, 1936
- Madame Bovary, traduzione di Oreste del Buono, Garzanti, 1965
- La signora Bovary, traduzione di Natalia Ginzburg, Einaudi, 1983
- Madame Bovary. Costumi di provincia, traduzione di Maria Luisa Spaziani, Mondadori, 1997
I linguaggi settoriali che ha individuato, invece, sono ben dieci:
- medico[1] e farmaceutico
- botanico[2]
- legale [3] e bancario
- abbigliamento e accessori
- musica e teatro
- culinario
- architettura e arredamento
- meteorologico
- agricolo
- marinaro
Per ognuno di essi, Parodo riporta esempi concreti partendo dal testo originale e confrontando le scelte traduttive italiane. A grandi linee, l’autrice ci spiega che penne seppur molto diverse tra loro hanno tradotto in maniera molto simile i passaggi più critici del romanzo e che spesso, a differenziare le varie rese, è solo la sinonimia. Ci sono però (pochi) esempi di come Ginzburg, la traduttrice più fedele al testo al punto da essere di frequente letterale, incappi in calchi facilmente evitabili, come volailles > volatili al posto del più corretto pollame, oppure, sempre per rispettare il principio della letteralità, “crei un’immagine incomprensibile nella lingua di arrivo perché priva di un referente”: ad esempio, quando Emma incontra l’abate Bournisien, alcuni bambini, inginocchiati in attesa del catechismo, se poussaient de l’épaule, et tombaient comme des capucins de cartes. Nella resa di Ginzburg, la similitudine diventa crollavano giù come i fraticelli delle carte da gioco. Come fa notare Parodo, “non essendo qui necessario avvicinare il lettore italiano alla cultura francese, ma piuttosto rendergli familiare il concetto espresso, il procedimento traduttivo più adeguato alla resa di questa similitudine è senza dubbio l’adattamento o “transculturation” […]”, perciò sarebbe stato sufficiente scrivere “crollavano come castelli di carte”.
La parola a chi ha tradotto
La chicca del saggio, però, è il capitolo finale, I “sujets traduisant” tra individualità e convenzioni, in cui Parodo dà spazio alla voce dei quattro traduttori protagonisti del suo studio. Nel paragrafo Diego Valeri: l’esordio di Madame Bovary in Italia, scopriamo ad esempio che Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952), nel presentare la collana Biblioteca Romantica di Mondadori, da lui diretta nel periodo 1930-1938, “dichiarava di aver escluso dal programma Madame Bovary perché un traduttore adatto a tale compito sarebbe stato introvabile”, salvo cambiare idea di fronte all’eventualità che a cimentarsi nell’impresa potesse essere, appunto, Diego Valeri, “probabilmente perché il poeta italiano e il prosatore francese condividono la stessa ricerca di uno stile in grado di rappresentare da solo il fulcro di un’opera”. Molto interessante anche la disamina dello stile di Ginzburg, scrittrice-traduttrice e come tale più incline a “mettere del suo” nella traduzione nonostante la scelta di rimanere sempre molto letterale. E a proposito di Ginzburg, durante le ricerche che normalmente facciamo per approfondire aspetti che di volta in volta ci colpiscono dei vari libri che leggiamo per voi, abbiamo scoperto l’estratto di una lettera che lei stessa scrisse a Einaudi dopo aver finito di tradurre Madame Bovary:
Ho finito di tradurre Madame Bovary. Vorrei ora un contratto. Mi avevi detto di tradurre nelle ore d’ufficio. Io ho tradotto nelle ore d’ufficio per due pomeriggi – due di numero- e poi sempre a casa, e per essere precisi dalle quattro della mattina alle otto della mattina, e il sabato e la domenica, e nell’estate, nel mese di agosto. Questo perché in ufficio ho fatto dell’altro lavoro: forse un’altra traduzione (per esempio Une vie di Maupassan, che mi avevate proposto) io potrei farla nelle ore d’ufficio. Ma Madame Bovary non potevo: è una traduzione troppo impegnativa, troppo difficile; richiedeva un raccoglimento assoluto, una dedizione assoluta. Ti saluto con affetto, Natalia.[4]
Vi lasciamo con un consiglio: se il libro che vi abbiamo presentato oggi vi incuriosisce, prima leggete (o rileggete) Madame Bovary. Vedrete che, così facendo, vi ritroverete più facilmente in ciò che descrive Parodo.
[1] Se l’argomento vi interessa, nell’archivio del nostro blog di traduzione trovate l’articolo Linguaggi specialistici – La lingua della medicina.
[2] Volete approfondire questo tipo di linguaggio? Allora vi invitiamo a leggere Tradurre il linguaggio botanico. Il libro recensito nell’articolo è una chicca.
[3] Abbiamo scritto un articolo anche sul linguaggio giuridico, potete recuperarlo qui: Linguaggi specialistici – La lingua del diritto.
[4] La lettera è inserita all’interno della tesi di Diletta Di Lauro, Una coscienza critica: Natalia Ginzburg intellettuale e editrice.