Questa recensione esce con un anno di ritardo, quindi, forse, il libro di cui vi parleremo lo avete già letto, o sarebbe meglio dire, consultato. Si tratta, infatti, di un glossario molto particolare: il Gaddabolario – Duecentodiciannove parole dell’Ingegnere, consigliato spesso nei tanti articoli che lo scorso maggio hanno ricordato Carlo Emilio Gadda nel cinquantesimo anniversario dalla sua scomparsa, avvenuta il 21 maggio 1973.
Ci eravamo procurate subito una copia, convinte di pubblicare anche noi il nostro bravo articolo-omaggio per l’Ingegnere. E poi? Poi chi scrive si è messa a sfogliarlo e, lemma dopo lemma, le è venuta voglia di approfondire, sperando di locupletare il post con qualche chicca. Eh sì, a furia di ricerche, ci siamo lasciate sfuggire l’anniversario. Ci riproviamo quest’anno e speriamo che l’attesa sia valsa la pena.
COME SCALARE UNO GNOMMERO DI PAROLE
Nell’introduzione, la curatrice del libro, Paola Italia, usa la metafora dell’alpinismo per descrivere l’esperienza di lettura delle opere di Gadda. Al primo approccio si prova un vero e proprio smarrimento e si ha la sensazione di «leggere nella propria lingua e percepirne un’altra». I sessanta collaboratori che hanno selezionato le parole del Gaddabolario, e ne hanno scritto le glosse, fanno parte degli “adepti”, ossia delle persone che dopo lo straniamento iniziale, non si sono arrese e hanno deciso di proseguire la lettura finché non avessero capito almeno una pagina. Ogni nuova pagina conquistata diventava un appoggio per proseguire nell’arrampicata e aprire nuove vie verso la vetta: lo gnommero gaddiano, ossia «il groviglio, il garbuglio, il pasticciaccio, il gomitolo inestricabile, il gorgonzola, il guazzabuglio […] che è Sostanza della realtà e sua caduta, suo vagolare, sua vendetta demiurgica, nella natura e nello spirito.» (Edoardo Camurri)
Proprio come avviene in montagna, le autrici e gli autori hanno deciso di lasciare nel Gaddabolario chiodi e split per chi deciderà di avventurarsi nell’impresa dopo di loro. Hanno quindi raccolto e spiegato duecentodiciannove parole gaddiane (un numero cabalistico scelto in onore di via Merulana 219, teatro dei delitti del Pasticciaccio) per fornire uno strumento a chi non osa avvicinarsi all’Ingegnere perché lo ritiene troppo difficile, ma anche a chi i labirinti della sua prosa li ha già percorsi e desidera tornarci con occhi diversi. Ogni lemma è spiegato non soltanto con le glosse firmate dagli “adepti”, ma anche attraverso le parole di Gadda stesso, con citazioni e rimandi interni ad altre voci e altre opere.
Inutile dire che, per chi fa il nostro mestiere, vedere le parole nel contesto d’uso è un invito a nozze. Per esempio, leggendo la citazione tratta da L’Adalgisa relativa al lemma ciapà, si fatica a trattenere il sorriso mentre si scorre la dettagliata descrizione del verbo lombardo nella nota 21, scritta dallo stesso Gadda, e non si può resistere alla tentazione di scoprire le altre note del romanzo.
Detto, fatto! Tra le chiose dal tono erudito e ironico che impreziosiscono L’Adalgisa, non possiamo non citare un assaggio della numero 16, che ben si collega a questa #traduzioneacolazione:
«Nelle vecchie “latterie” di Milano si ammanniva il caffè e latte già miscelato e talora piuttosto allungatello in una scodella rialzata senza manico (tazzina, tasìna de la balia) di varia e talora cospicua dimensione (anche mezzo litro), di fattura grossolana, emisferica e poggiante su base discoide; con cucchiaro e due o più panini; ai giovani che si recavano al lavoro e agli studenti di mineralogia del mattutino politecnico (ore 7), che Satanasso lo incachi; su tavolino di marmo carrarese, ben raramente spaccato ossia fenduto, con supporto di ghisa cioè fonte: (Guseisen, castiron). Il trasferimento del pane zuppo da scodella a cavità orale si celebrava non senza accompagnamento di scelta musica.»
LA LINGUA DI GADDA
Dal paragrafo precedente è facile intuire perché spesso si parla di pastiche quando ci si riferisce alla lingua di Gadda. Questo composito impasto linguistico nasce dall’esigenza dell’Ingegnere-filosofo di descrivere con precisione la realtà. Secondo Gadda, infatti, la realtà è composta di sistemi interdipendenti che interagiscono tra loro e, in questa interazione, si evolvono e si deformano in continuazione. Per rappresentare una realtà in perenne deformazione non sono sufficienti né la lingua letteraria, né quella d’uso: «la lingua dell’uso piccolo-borghese, puntuale, miseramente apodittica, stenta, scolorata, tetra, eguale, come piccioletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie, va bene, concedo, è lei pure una lingua: un “modo” dell’essere. Ma non può diventare la legge, l’unica legge» (Lingua letteraria e lingua dell’uso). Concetto ripreso e ampliato nel saggio breve Processo alla lingua italiana (all’interno della raccolta Divagazioni e garbuglio), in cui Gadda si esprime sull’”italiano medio” in questo modo: «Personalmente non credo che una lingua “media”, eguale per tutti, possa mai costituire la base omogenea di un linguaggio letterario, né che un siffatto linguaggio possa mai venir raggiunto in pratica, se non nei tentativi, ingemmati di alcune buone intenzioni.»
Da qui l’esigenza di inventare una lingua ricca a sufficienza da tentare di esprimere quanti più significati possibili del reale. Ecco, quindi, che l’Ingegnere non teme l’alternanza tra alto e basso, regionale e sovranazionale, antico e moderno, satirico e poetico. Nelle sue opere si passa da un linguaggio aulico con lirismi, sottoposti però a forzature espressive, come diademato o fulgurativo, alla forza vivificatrice dei dialettalismi (asciuttamano, gnucco). Gadda non teme di usare anche tecnicismi (sesquiossido), forestierismi (shakespearizzare) e invenzioni lessicali, creando, per esempio, avverbi da aggettivi o verbi da sostantivi, come abracadabrante, cannocchialante, catastrofizzare, ecc.. Particolarmente efficaci risultano le associazioni tra sacro e profano (criptorutto o manustupro) e le parole composte che, attraverso la giustapposizione con trattino, riescono a rappresentare più aspetti della realtà in un colpo solo, tra queste spicca la lunghissima cetriolo-Inghilterra deve scontare i suoi delitti.
Già da questo breve elenco di parole si può intuire che, come sottolinea Paola Italia, «a leggere Gadda ci si diverte moltissimo. A volte si ride irrefrenabilmente fino alle lacrime. Altre volte è un riso amaro, sarcastico, con punte di vero e proprio cinismo, ma terribilmente divertente.»
Di seguito citiamo un lemma che ci ha strappato un sorriso, vediamo se capite il significato.
PEPTONIZZARE: «E così rimanevano: il gomito appoggiato sul tavolino, la sigaretta fra medio e indice, emanando voluttuosi ghirigori; mescolati di miasmi, questo si sa, dei bronchi e dei polmoni felici, mentre che lo stomaco era tutto messo in gliulebbe, e andava dietro come un disperato ameboide a mantrugiare e a peptonizzare l’ossobuco. La peristalsi veniva via con un andazzo trionfale, da parer canto e trionfo, e presagio lontano di tamburo, la marcia trionfale dell’Aida o il toreador della Carmen.»
TRADURRE GADDA: IMPRESA IMPOSSIBILE?
Se persino da madrelingua fatichiamo a comprendere gli scritti di Gadda, riuscite a immaginare la difficoltà di tradurlo? C’è da dire che la sfida è stata raccolta da molte persone: le opere dell’Ingegnere sono state tradotte in 18 lingue e 22 Paesi in tutto il mondo, con alterni risultati.
Tra le varie fonti che abbiamo consultato, abbiamo trovato l’articolo La prova dell’altro: Gadda tradotto, in cui l’autore, Giuseppe Stellardi, parte dall’analisi della traduzione in inglese della Cognizione del dolore ad opera di William Weaver per trarre riflessioni di natura più generale sulla traducibilità di un’opera.
Stellardi nota come la traduzione inglese sia preceduta da una breve introduzione in cui si presentano l’opera e l’autore, ma non si fa riferimento a problemi di traduzione e relative strategie adottate. Sono presenti inoltre poche note che spiegano alcuni riferimenti altrimenti incomprensibili al pubblico anglofono. L’approccio di Weaver sembra dunque filologicamente consapevole, ma privo di interesse per il problema teorico della traduzione. Inoltre, dimostra anche una certa disinvoltura nell’affrontare un testo complesso come quello gaddiano.
Stellardi analizza poi alcuni problemi della traduzione, a cominciare dal titolo reso con “Acquainted with grief”, nel quale quell’”acquainted” riesce solo a stento ad avvicinarsi all’originale “cognizione”, per arrivare alla riduzione dei registri stilistici e linguistici e alla comprensibile scomparsa dei dialetti. L’autore giunge poi alla conclusione che lo scopo di Weaver non è quello di «riprodurre in inglese il sistema Gadda, ma di far esistere Gadda nella propria lingua». Chi vorrà conoscere per intero l’autore, dovrà incontrarlo nella lingua originale.
GADDA TRADUTTORE
Pensate se uno scrittore capace di un uso tanto creativo della lingua si mettesse a tradurre… In effetti, l’ha fatto.
In questo articolo, Gianfranco Contini lo definisce, a ragione, un “traduttore espressionista”. Contini prende in esame le traduzioni a opera di Gadda di Peregrinación sabia di Salas Barbadillo e di El mundo por de dentro dai Sueños di Quevedo. Dagli esempi riportati, che vi lasciamo il piacere di scoprire, emerge come, anche in qualità di traduttore, Gadda non riesca a stare nei limiti imposti dalla norma e dal mito della fedeltà al testo fonte. Fioccano così fiorentinismi (ettù bischero!), arcaismi (in sul), tecnicismi e manipolazioni lessicali. Insomma, l’Ingegnere si dimostra un traduttore spregiudicato nei confronti dell’originale e non fa nulla per restare invisibile.
GADDA E I LINGUAGGI AUDIOVISIVI
Avendo lavorato in Rai dal 1950 al 1955, Gadda conosceva bene i linguaggi audiovisivi. Sono sue le Norme per la redazione di un testo radiofonico in cui si legge: «La sopportabilità massima del parlato-unito, in Italia, è di quindici minuti. La voce unica e fusa erogata dal graticcio del radioapparecchio, in quanto non soccorsa dalla presenza fisica, dalla gestizione o dall’atteggiamento di chi parla, annoia l’ascoltatore italiano dopo quindici minuti, quali che siano la forma o il contenuto dell’allocuzione. A quindici minuti di parlato corrispondono centottanta righi dattiloscritti. Nessuna conversazione da trasmettere “a una voce” può superare questo limite.»
Dal saggio Processo alla lingua italiana già citato in precedenza, scopriamo che considerava giornalismo, cinema e televisione strumenti di unificazione culturale e del linguaggio. Tra questi media, riconosceva un vantaggio a cinema e televisione in virtù della loro maggiore immediatezza, mentre considerava meno brillante la prosa degli «informatori di cultura, forse perché taluno di loro si sente legato all’obbligo di una divulgazione molto seria, e finisce a scrivere per dovere con quasi scolastica o comunque perbenista osservanza delle buone regole e scarso desiderio e scarsissima possibilità di rallegrarsi un tantino delle medesime.»
A proposito di TV, non possiamo non invitarvi a vedere alcuni filmati d’epoca che abbiamo scovato durante le nostre ricerche. In questa intervista Rai potete sentire lo stesso Gadda raccontare del seguito del Pasticciaccio, che però rimase incompiuto, mentre in questo contributo potete ascoltare che cosa pensavano Piovene, Moravia e Vittorini dell’Ingegnere.
Speriamo di non avervi annoiato, ma di avervi trasmesso un pizzico dell’entusiasmo con cui abbiamo usato il Gaddabolario come guida per la scoperta dell’universo gaddiano.
Buona scalata!