Chi mi conosce sa che pratico yoga da tanti anni e che ho iniziato a studiare le radici di questa disciplina, come la lingua in cui è nata: il sanscrito.
Qualche mese fa le mie ricerche sono approdate su un gruppo Facebook chiamato “Impariamo il sanscrito” in cui gli amministratori, sanscritisti del calibro di Diego Manzi, Purnananda Zanoni, Saverio Sani, Marcello Meli e Anuradha Choudry, condividono con la propria community pillole di sanscrito insegnato come lingua viva per far avvicinare le persone a questa lingua complessa, ma affascinante.
Un giorno la mia attenzione viene catturata da una pillola che parla della traduzione dal sanscrito. Come Pollicino, cerco tutte le altre pillole sull’argomento e raccolgo qualche informazione sull’autore: Purnananda, nome che significa “beatitudine nella pienezza” ed è dovuto all’iniziazione da parte di un ordine monastico della Tradizione indiana. Tra le tante voci del suo curriculum di studioso delle tradizioni filosofiche e teologiche nelle diverse culture occidentali e orientali e di sanscrito, mi colpisce la sua esperienza come traduttore e curatore del testo indiano: Tantra – Lo Śivaismo del Kaśmīr, pubblicato da Laksmi Ed. Savona, 2012.
In questi giorni in cui il digitale ci dà l’impressione di accorciare le distanze, ho trovato il coraggio di contattarlo per chiedergli un’intervista per #traduzioneacolazione.
Ho scoperto una persona non solo preparata e appassionata, ma anche molto umile e disponibile. Così, quella che doveva essere una breve intervista, è diventata una lezione di traduzione dagli Yogasūtra di Patañjali, con tanto di dispensa e materiale di consultazione omaggio. Per chi non fosse pratico della materia, si tratta di un testo classico fondamentale per chi studia e pratica yoga. Ovviamente, il mio contributo alla traduzione è stato inutile come la polvere, ma è stato istruttivo vedere quanta pazienza c’è dietro ogni singola parola. Già, perché come dice Purna: “Il sanscrito è nemico della fretta” e io aggiungo che lo stesso vale per la traduzione.
Ora vi consiglio di prendervi qualche istante per le leggere le parole e le riflessioni di Purna sulla traduzione, magari sorseggiando un latte chai.
– Ciao Purnananda,
– Preferirei che tu mi chiamassi solamente Purna, grazie.
– Intanto ti ringrazio per la tua disponibilità e per tutto il materiale che mi hai fornito.
– Di nulla, figurati.
– Ti ricapitolo di seguito le domande principali che ti ho posto al telefono.
Come si approccia la traduzione da una lingua come il sanscrito?
Non esiste un sanscrito oggettivamente uguale per tutti. Ognuno ha il suo sanscrito. Il sanscrito viene dall’infinito e va verso l’infinito. È la lingua con cui Dio ha parlato di sé agli uomini per svelare loro qual è la vera natura della Realtà. Tant’è che la creazione non è che la manifestazione fonematica della Coscienza assoluta attraverso la parola formata dalle lettere dell’alfabeto sanscrito. Credere di possedere il sanscrito è come sfidare Dio: il sanscrito è asintotico, quando pensi di poterlo raggiungere il suo orizzonte si allontana sempre di più. Non siamo noi che scegliamo di studiare il sanscrito, ma è il sanscrito che sceglie noi. Quando iniziamo a studiare sanscrito ci uniamo indissolubilmente per tutta la vita con quella che sarà sempre e per sempre la nostra priorità; se non sarà così avremo sprecato tempo e energie inutilmente perché verremo abbandonati dal sanscrito e in breve perderemo tutto ciò che avevamo faticosamente acquisito. Il sanscrito è una lingua di suoni, di sillabe, di sostituzione. Di suoni: il testo scritto serve solo perché le lettere alfabetiche ci dicono quale suono deve produrre il nostro apparato fonatorio. Di sillabe: i testi sono scritti in scriptio continua in una sequenza di sillabe senza soluzione di continuità (salvo certe regole), sta a noi assemblare le sillabe e formare le parole separandole e sfasciando le modificazioni morfologiche dovute alle esigenze eufoniche. Di sostituzione: è tutto un cava-metti-scambia senza tregua. Il sanscrito non è una lingua, è uno stato di coscienza (non solo linguistica). Per avvicinarlo dobbiamo entrare il più possibile nello stato di coscienza dell’autore del testo. Un duro e lungo lavoro consumato in ore e ore giornaliere di studio, ragionamento, riflessione, intuizione, sensibilità, intelligenza, buon senso, pazienza, genialità, applicando tutte le conoscenze grammaticali, semantiche, filosofiche, ermeneutiche, filologiche, esegetiche, metafisiche, ecc. Il sanscrito è una “magica follia”.
Quali sono le principali difficoltà, ma anche la bellezza, di cercare il significato in italiano di parole così dense di storia e cultura come quelle che compongono gli Yogasūtra?
Di questo celebre testo ci sono centinaia di traduzioni in tutte le lingue e in tutti contesti culturali o religiosi: personalmente vedo lo Yoga più come una pratica religiosa che non spirituale. L’unico modo per penetrare in profondità nella smisurata ricchezza degli insegnamenti di Patañjali è tradurre i sūtra parola per parola analizzando ogni morfema che compone i vocaboli. Chi conosce un po’ il sanscrito capisce quello che voglio dire. Non c’è quindi un’unica traduzione ma ci sarà solo la “nostra” traduzione, quello che noi abbiamo capito perché l’abbiamo compreso al nostro livello coscienziale, prima come sanscritisti e poi come ricercatori della Verità. A che cosa serve lo Yoga? Il nostro cervello è un laboratorio quantistico dove tutto avviene non con i bit ma con i Qbit: la mente è fatta di campi quantistici, una schiuma quantica che viene scambiata continuamente tra il manas e il citta. Questo crea il rumore ininterrotto dei pensieri: il caos mentale, fonte delle afflizioni i kleśa. Lo Yoga serve proprio a dirigere il traffico, mettere limitazioni e divieti di circolazione. Come? Con gli āsana, il prāṇāyāma, i mantra, le mudrā, il pratyāhāra, la dhāraṇā, il dhyāna la meditazione, il samādhi: in una parola con l’abhyāsa, la pratica costante, si realizza l’acquietamento della mente, perché così si può gestire il collasso delle funzioni d’onda dei campi quantistici supportati dalle tubuline, che sono delle proteine all’interno dei microtubuli, dei neuroni e dei dendriti. La mente può così esplorare gli strati più profondi della coscienza. Dal livello della parola di superficie: l’opinione, il pettegolezzo (per dirla con Heidegger), alla parola di riflessione, quella dei bhāṣya i commentari, e poi alla parola di verità dei mūla, i testi base, per arrivare alla parola non pronunciata: il mantra interiore. E infine il silenzio mentale del samādhi, il profondo assorbimento nella vera natura della Realtà.
Non conoscendo il sanscrito, nelle mie ricerche e nei miei studi mi capita spesso di far riferimento a fonti e risorse in inglese. Prima di scoprire il gruppo “Impariamo il sanscrito”, mi sono spesso chiesta se avesse senso. Ho sempre trovato un po’ strano vedere una lingua antica e ricca di sfumature tradotta nella lingua della modernità e del progresso, efficiente certo, ma forse non del tutto efficace nel rendere i tanti colori del sanscrito. Hai qualche suggerimento bibliografico in italiano per chi si sta avvicinando allo studio dei testi classici e degli Yogasūtra?
Con un gruppo di studio stiamo ri-traducendo per noi stessi sūtra dopo sūtra analizzandolo parola per parola, ma siamo ancora all’inizio e quindi un testo completo non arriverà in tempi brevissimi, anche se potrei cominciare a guardarmi intorno fin d’ora per capire se ci sarà qualcuno disposto a fare una pubblicazione, altrimenti ricorrerò all’autoedizione di Amazon. In attesa posso suggerire tre testi che pur guardando da punti di osservazione diversissimi, per un neofita possono costituire, incrociandoli tra di loro, un valido riferimento.
- Le Yogasūtra de Patañjali le Yogabhāṣya de Viāsa, Michel Angot, Les Belles Lettres, Paris 2012
- La Via Regale della Realizzazione (Yogadarśana), Raphael, Edizioni Āśram Vidyā, Roma 1992
- La Scienza dello Yoga, I. K. Taimni, Ubaldini Editore, Roma 1970
Concludo dicendo che questo testo immortale dovrebbe essere reso obbligatorio nelle scuole italiane a partire dalle medie, all’unica condizione che venisse spiegato e contestualizzato adeguatamente nella molteplice stratificazione della cultura linguistica e sapienziale appartenente alla Tradizione indiana, che a noi occidentali può apparire segreta e misteriosa come lo è l’India in quanto da millenni al vertice del pensiero simbolico dell’umanità, molti secoli prima delle speculazioni filosofiche pervenuteci dalla Grecia classica.
– Grazie mille
– Grazie a te, Un caro abbraccio. Purna
E noi ringraziamo Ilenia Gradinello per questo articolo/intervista che ha scritto per WiP.