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Babel: una traduzione magica

Immaginate una realtà in cui tutto, ma proprio tutto, dipende dalla traduzione e in cui chi conosce le lingue e padroneggia l’arte di “dire quasi la stessa cosa” ha il potere di fare magie. Un mondo in cui traduttrici e traduttori godono di rispetto e privilegi. Sarebbe un sogno, vero? Attenzione, però, non è tutto oro (o argento) quel che luccica, il sogno potrebbe diventare un incubo…

Scopriamolo insieme varcando la soglia di Babel, il prestigioso Royal Institute of Translation dell’università di Oxford, una Oxford immaginaria che nel 1830, o giù di lì, è il centro non solo del sapere, ma anche del potere dell’impero britannico.

Potevamo lasciarci sfuggire una chicca simile? Certo che no, ci ha fatto compagnia durante le feste e ora eccoci a parlarvi di Babel. Una storia arcana, scritto da Rebecca F. Kuang e tradotto per Mondadori da Giovanna Scocchera.

 

UN LIBRO CHE COGLIE LO SPIRITO DEL TEMPO

Come ha rilevato il Guardian, subito dopo la pubblicazione nel 2022, questo libro ha avuto un notevole successo grazie alla condivisione di videorecensioni sui social, in particolare TikTok. L’autrice conosce bene il pubblico a cui si rivolge e ha saputo intercettarne i gusti e gli interessi. Infatti, con le sue biblioteche sconfinate, le grammatiche rare e i tè fumanti, Babel strizza l’occhio all’estetica Dark Academia, una sottocultura nata proprio sui social e che si ispira alle atmosfere retrò delle università anglosassoni e incoraggia lo studio dell’arte e delle materie classiche.

Non fraintendete, però, questo è molto più di un libro di tendenza. Rebecca Kuang è riuscita infatti a scrivere un fantasy che è ben radicato nella storia e nella realtà e che spinge a riflessioni profonde. Possiamo dividere idealmente il testo in due parti che sviluppano i due temi principali: da un lato la magia, declinata in modo nuovo e originale, e dall’altro la critica al colonialismo e al sistema accademico legato a filo doppio al potere. Mondo immaginario e critica politica sono tenuti insieme dalla traduzione, che è al contempo artificio magico e strumento politico.

 

LA TRADUZIONE COME ARTIFICIO MAGICO

L’autrice immagina una realtà in cui l’impero britannico dipende totalmente da misteriose tavolette d’argento con strane parole incise sopra che, abbinate alle innovazioni tecniche della rivoluzione industriale, garantiscono la supremazia della Corona.

Perché le tavolette funzionino devono riportare combinazioni di parole in lingue diverse che facciano riferimento allo stesso concetto… o quasi. Sì, perché come sappiamo bene, due lingue, e due culture, non sono mai completamente sovrapponibili e ci sarà sempre un residuo traduttivo che nel passaggio da una all’altra andrà perso. Ebbene, nella fantasia di Kuang, abbinando la lavorazione dell’argento a una ricerca raffinata e precisa dell’etimologia delle parole, è possibile accedere a quello spazio, invisibile e intangibile, che è il regno del significato, e sprigionarne la potenza creativa. Le tavolette, però, si attivano soltanto se a leggere la combinazione di parole è una persona che conosce profondamente le lingue da cui derivano. Va da sé che la traduzione diventa un artificio magico e chi ne conosce i segreti acquisisce un potere enorme.

A Oxford si trova il più prestigioso istituto di traduzione al mondo, all’interno di una torre soprannominata Babel. Chi ha l’onore di accedervi entra a far parte della cerchia dei Babblers.

Babel è suddivisa in piani, dal meno importante, gli Affari legali, fino all’ottavo che ospita la Lavorazione dell’argento, quello dove avviene la magia. Il terzo piano è la base di appoggio di chi intraprende la carriera di interprete, un po’ snobbata dai Babblers: “un’occupazione perfetta se il tuo scopo è viaggiare all’estero a spese di qualcun altro. […] Ma gli accademici sono per natura una razza sedentaria e solitaria”. Un gradino più in alto c’è il quarto piano dedicato alla traduzione della letteratura dalle lingue straniere all’inglese e, raramente, viceversa. Il primo passo per diventare professore.

Quando Robin Swift, il protagonista, arriva a Babel, noi scopriamo la torre attraverso i suoi occhi ingenui. Assistiamo affascinati alle lezioni di traduzione del professor Playfair. Con Robin ci chiediamo cosa deve fare una buona traduzione: essere fedele? Fedele a chi? Al testo di partenza o al pubblico di arrivo? La fedeltà è separata dallo stile? La traduzione è, in fin dei conti, impossibile? Tutti quesiti che conosciamo bene.

Infine, prendiamo confidenza con le lezioni di etimologia che sono alla base della lavorazione dell’argento. Qui, l’autrice dimostra di aver studiato e approfondito bene la materia e chi ama la linguistica troverà molta soddisfazione. Per esempio, la parola greca Kárabos significa “barca”, “granchio”, oppure “coleottero”, invece la parola inglese caravel (“caravella”) indica solo una nave leggera e veloce e perde l’associazione con l’animale. Però le due parole incise su una tavoletta applicata su una nave da pesca le garantiranno un bottino migliore della concorrenza.

 

LA TRADUZIONE COME STRUMENTO POLITICO

Come abbiamo anticipato in apertura, questo quadro idilliaco è destinato a incrinarsi. Man mano che si procede con la lettura, Robin, ragazzo povero di Canton e i suoi amici, Rami originario di Calcutta, Victoire di Haiti e Letty, l’unica bianca e ricca, sono costretti a uscire dalla bolla sicura dell’accademia e a scontrarsi con la realtà.

Robin scopre così che Babel non usa la traduzione per unire le persone, come ingenuamente credeva all’inizio, ma per conservare e incrementare il potere della Corona a danno di popoli ritenuti inferiori, come il suo. Si rende conto che combinazioni di parole provenienti da lingue molto lontane tra loro producono effetti maggiori. Per questo, l’università sradica bambini dai propri Paesi, non prima che la lingua abbia attecchito a sufficienza, per tradurli in Inghilterra e farli diventare preziose risorse per l’impero, proprio come ha fatto con lui e con i suoi amici. Inoltre, per garantirsi un afflusso costante di argento, la Corona sfrutta le colonie, facendo coltivare l’oppio in India e imponendone il commercio in Cina. Il tutto costringendo gli studenti a tradurre per l’impero e a tradire il proprio popolo. Robin e suoi amici capiscono che Babel li considererà sempre e solo una risorsa, finché saranno utili. Con questa consapevolezza cosa farà? Rinuncerà alla vita tranquilla di accademico per unirsi alla società segreta Hermes, un nome un programma?

Questa è la parte più verosimile del romanzo. All’interno di Babel svetta un monumento commemorativo dedicato a Sir William Jones, il traduttore più famoso dell’epoca. Jones, personaggio storico, nel 1786 aveva pubblicato un testo fondamentale per la ricostruzione del protoindoeuropeo, come raccontato anche dal podcast L’invasione. Sir William Jones era un giurista di professione e un linguista per passione. Durante gli anni trascorsi in India al servizio della Corona, grazie alla sua conoscenza del sanscrito, tradusse molti testi sacri indiani, tanto da essere soprannominato “L’Orientale”. Come abbiamo visto anche nel nostro articolo dedicato a Oltre l’Occidente, l’impero britannico usava la traduzione per «clonare dei brown Englishmen».

L’autrice in una nota rimarca esplicitamente l’uso strumentale della traduzione in epoca coloniale: «La grande contraddizione, ovviamente, è che non esiste una colonizzazione “umana”. Il contributo di Babel a quella missione civilizzatrice, nel frattempo, consisteva nel fornire alle scuole missionarie materiali per l’insegnamento dell’inglese e nel tradurre le leggi inglesi sulla proprietà privata per quei popoli costretti dagli insediamenti coloniali ad abbandonare le proprie terre».

 

NOTE

E veniamo a un altro aspetto peculiare del romanzo: le note.

La storia è raccontata dal punto di vista di Robin, che non è un narratore affidabile, non ha tutte le risposte, almeno non mentre si svolgono gli eventi. L’autrice si inserisce quindi nelle note per spiegare, ricostruire il tessuto storico, ma anche per far sentire le proprie opinioni. Lo fa con intelligenza riuscendo a mantenere un equilibrio tra la parodia dello stile accademico pomposo e l’esigenza informativa.

Accanto alle note dell’autrice, nella versione italiana, che con nostra gioia, si apre proprio con la nota alla traduzione, ci sono anche quelle di Giovanna Scocchera. Qui leggiamo che tradurre un romanzo che ruota intorno alla traduzione e alla sua fallibilità è stata una sfida al quadrato. All’inizio ha approcciato il testo «attingendo all’arsenale dei ferri del mestiere con cui si cerca, ogni volta, di produrre un testo tradotto che non tradisca la fatica, che risulti scorrevole, plausibile, piacevole e soprattutto leale». Però si è resa conto che non funzionava, e che, per questo testo, avrebbe dovuto «schiudere la porta dell’officina, mostrare il lavoro che c’è dietro la traduzione, rivelare trucchi e stratagemmi». Una scelta coraggiosa che l’ha portata a inserire traduzioni di servizio nascoste all’interno del testo, adattamenti, rimandi e la famigerata ‘n.d.t’, riuscendo, a nostro parere, nell’intento di «ricreare in traduzione quello che della traduzione si perde».

In conclusione, vi invitiamo a leggere Babel, anche se il fantasy non è il vostro genere, perché è un libro ricco e ambizioso. La prosa scorrevole riesce a rendere accessibili anche i concetti più complessi e, al netto di qualche semplificazione necessaria, non è banale. Inoltre, il finale aperto con una frase in creolo di cui non viene fornita la traduzione è un tocco di maestria. A proposito di omissioni, ci è rimasta una curiosità: perché il titolo originale Babel or the Necessity of Violence è stato reso in italiano con Babel. Una storia arcana?

E poi leggetelo perché abbiamo fatto i salti mortali per non svelarvi i dettagli più succosi della trama.

Ultimo consiglio: procuratevi degli scones, alla fine della lettura ne avrete una voglia matta.