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L’interprete di Annette Hess

Per la #traduzioneacolazione di oggi vi proponiamo L’interprete, il primo romanzo dell’autrice e sceneggiatrice tedesca Annette Hess, tradotto da Chiara Ujka ed edito da Neri Pozza nel 2019.

La trama

Francoforte, 1963. In una gelida domenica d’Avvento, Eva Bruhns, giovane interprete dal polacco, riceve una inattesa telefonata dalla sua agenzia. In un ufficio al centro della città, dove pare stiano approntando le carte per un processo, hanno urgente bisogno di qualcuno che traduca dal polacco. Giunta sul posto, Eva tira fuori il suo taccuino per tradurre le parole del signor Josef Gabor, da Varsavia. La giovane si aspetta di avere a che fare con le solite cause legali per risarcimento danni. Ma, con stupore, deve ricredersi: Josef Gabor parla di tragici avvenimenti accaduti nel 1941, di prigionieri asfissiati dal gas, di baracche e campi di reclusione. Fatti ignoti a una ragazza tedesca del 1963. Nei giorni successivi, Eva dovrà fare i conti col trauma proprio dei figli della generazione del Terzo Reich, la scoperta della Shoah e dell’orrendo crimine perpetrato dai nazisti. Un crimine di cui non soltanto sono ancora ignoti numerosi autori, ma che è stato colpevolmente taciuto e rimosso in ogni casa tedesca, nei lunghi anni del dopoguerra. Annette Hess consegna al lettore, attraverso l’accurata ricostruzione dei processi di Francoforte, un autentico ritratto della Germania post-bellica.

La protagonista

All’inizio del romanzo, Eva Bruhns è una giovane donna, la cui principale preoccupazione è quella che il fidanzato, Jürgen, che sta per presentare alla famiglia, piaccia ai genitori e la chieda finalmente in sposa.

Man mano che il processo si snoda, però, Eva acquista una maturità e una consapevolezza sempre maggiori: in virtù del suo ruolo da interprete si ritrova tra le mani una matassa estremamente intricata e per riuscire a dipanarla dovrà affrontare una verità fino ad allora taciuta e nascosta da tutti.

Le scioccanti testimonianze a cui assiste la spingono anche a chiedersi perché i suoi genitori e la sorella più grande, Annegret, non vogliano mai parlare della guerra e dei fatti accaduti all’epoca. L’argomento è tabù, alla Deutsches Haus, la modesta trattoria che dà il titolo originale al libro.

Pian piano la protagonista si rende conto che oltre ai colpevoli veri e propri, anche coloro che hanno collaborato, rimanendo in silenzio, hanno contribuito a rendere possibile l’inferno dei lager, e questo la porta a mettere in discussione anche le persone a lei più vicine.

La figura dell’interprete

Ogni volta che ci avviciniamo a un titolo di narrativa da recensire per #traduzioneacolazione, cerchiamo di scorgere in ogni pagina un po’ di noi stessi e dei nostri mestieri. È stato questo lo sguardo con cui ci siamo accostati a Eva Bruhns, immedesimandoci in lei nei momenti in cui si è trovata in difficoltà a tradurre un linguaggio che non le era familiare e sul quale ha dovuto costruirsi un vocabolario da zero per poter svolgere il delicato incarico che le è stato affidato.

“L’uomo sulla sedia guardava Eva dritto negli occhi, evidentemente sollevato di incontrare finalmente in quella nazione qualcuno che capisse la sua lingua. Iniziò a parlare. […] parlava un dialetto di campagna che creava a Eva qualche difficoltà, facendola inceppare nella traduzione”.

Leggendo, ci siamo sentiti in soggezione proprio come la protagonista, quando le è stato detto: “E, se accetta, questa volta impari la terminologia necessaria. […] Tutte le parole possibili su come si può ammazzare qualcuno”, e abbiamo percepito la responsabilità di un incarico tanto delicato, quando, al banco dei testimoni, ha giurato “che avrebbe tradotto in modo fedele e coscienzioso tutti i documenti e le deposizioni in lingua polacca che sarebbero stati trattati durante il processo. Non avrebbe aggiunto né eliminato nulla”. Infine, abbiamo condiviso la sua paura: “Il timore di non capire quanto avessero detto i testimoni? O forse di capire fin troppo bene?”.

Uno sguardo insolito

Sull’Olocausto si è ormai detto di tutto e forse anche di più, ma leggendo questo libro, in cui la narrazione da lenta diventa via via incalzante e coinvolgente, colpisce soprattutto la prospettiva da cui vengono osservati ed elaborati i fatti.

L’intento dell’autrice non è concentrarsi sulle atrocità, sfruttandole per generare empatia o per soddisfare “voglie voyeuristiche”, come le definisce lei stessa in un’intervista alla Maison Heinrich Heine Paris.

Spesso e volentieri, nei romanzi su Auschwitz, così come nei film, si danno in pasto al pubblico gli orrori della Shoah, soffermandosi molto sulle violenze perpetrate. In questo libro, invece, vediamo quali sono le reazioni che le testimonianze dei sopravvissuti suscitano nell’interprete, Eva Bruhns, la quale fa e ci porta a fare tutta una serie di considerazioni, finendo per inchiodare anche chi si è reso complice, semplicemente non opponendosi.

A chi avesse voglia di approfondire, lasciamo il link del video in tedesco (con sottotitoli in francese). Nell’intervista Annette Hess parla di come sia nato il romanzo e a chi sia ispirato, e dipinge un quadro recente della sua Germania, con uno sguardo al passato, mentre sottolinea che “anche il silenzio è un atto politico”: https://www.youtube.com/watch?v=X2I3XEbDuu8

Buona lettura e buona visione!