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Traduzioni estreme

Oggi voglio parlarvi di un libro scritto da una vecchia conoscenza di chi segue la rubrica già da tempo, ovvero Franco Nasi, saggista, traduttore e docente di teorie della traduzione e letteratura anglo-americana in diverse università. Il suo Traduzioni estreme è un testo ricco di riflessioni più teoriche sulla traduttologia, di esempi pratici con cui misurarsi e di fronte ai quali rimanere attoniti o sentirsi invincibili, di riflessioni più concrete sul ruolo del traduttore e sul suo lavoro inserito nella realtà quotidiana, fatta di poesia ma anche di vincoli. Sebbene Nasi parli di tipologie testuali molto particolari, ritengo che le sue riflessioni, rivedute e adattate, possano applicarsi a qualsiasi tipo di traduzione. Io, ad esempio, mi occupo prevalentemente di traduzione tecnica ma leggendo questo testo mi sono riconosciuta in molte delle situazioni descritte dall’autore e, soprattutto, ho ridato una certa dignità a operazioni che talvolta faccio meccanicamente e automaticamente, vuoi per l’esperienza ormai acquisita, vuoi per quei vincoli a cui accennavo prima e di cui parleremo più avanti.

Ma partiamo dall’inizio: cos’è un testo estremo e, di conseguenza, una traduzione estrema? I testi estremi sono quelli che, oltre a trasmettere un contenuto, sono formalmente vincolati e impongono a chi li traduce riflessioni non solo linguistiche ma anche culturali ed etiche. Esempi di questi componimenti sono l’anagramma, il pangramma, il lipogramma, l’acrostico, la poesia e le filastrocche. La letteratura per l’infanzia è una vera miniera d’oro in questo senso. In generale, ma in queste situazioni in particolare, il compito del traduttore è quello di creare un testo capace di vivere di vita propria nella cultura di arrivo, ma che sia al contempo testimone del testo di partenza. Nasi afferma che una traduzione è considerata accettabile e adeguata solo se nasce da una profonda comprensione del testo di partenza (e di tutti gli elementi fonetici, intertestuali e culturali che lo compongono) e dalla perfetta padronanza della cultura e lingua di arrivo, ma anche dalla consapevolezza del motivo per cui la traduzione è stata commissionata. Quella del traduttore è un’opera creativa, frutto di scelte e di un progetto che determina e legittima la traduzione stessa (si considera progetto anche l’assenza di progetto. È pur sempre una scelta!). Insomma, l’autore ci invita a discostarci dall’idea che il traduttore sia o debba essere una figura trasparente, un filtro invisibile tra due testi. Tenendo saldi questi punti, dunque, non esiste una traduzione sbagliata e una giusta, esistono varianti che privilegiano un aspetto piuttosto che un altro e che servono scopi diversi.

Ma mettiamo un po’ le mani in pasta con un esempio.

Analizziamo un verso della poesia Anagrammer del poeta americano Peter Pereira: eleven plus two is twelve plus one. A prima vista sembra un verso innocuo, in realtà ci si renderà presto conto che le lettere della prima somma corrispondono a quelle della seconda: siamo di fronte a un anagramma. Potremmo tradurre semplicemente con “undici più due è dodici più uno”, l’uguaglianza matematica è mantenuta, ma il testo risulterebbe piatto e banale. Bartezzaghi propone “diciotto più tre fa tredici più otto”, con cui si mantiene sia l’uguaglianza matematica che l’anagramma. Una studentessa però, analizzando ancora più a fondo il verso originale e quello tradotto, nota una differenza: “eleven plus two” è formato da 13 lettere, numero corrispondete alla somma dei due numeri, mentre “tredici più otto” è formato da 14 lettere ma la somma è 21. Bartezzaghi risponde proponendo “il tredici sommato a otto è il diciotto sommato a tre”, soluzione che tiene conto dei due vincoli. Ci siamo, no? No. Un’altra traduttrice, Silvia Rogai, si accorge che quest’ultima versione ha perso parte della musicalità e della fluidità dell’originale e propone un’ulteriore formula: “quattordici più tre è tredici più quattro”. Perfetto. Adesso ci siamo davvero.

Io sono estasiata, voi no?

Nasi ci propone tanti altri esempi basati su filastrocche di Rodari, di cui vi invito a seguire il percorso che ci porta da una traduzione che si limita a restituire il significato lessicale del componimento a una che ne rispetta il ritmo, i nonsense e i giochi di parole, su poesie di McGough, tramite le quali ci fa riflettere sul concetto di metafora, sul rispetto del linguaggio scelto dell’autore e sull’interazione tra poesia e immagini, nello specifico nei libri per bambini. Per quest’ultimo caso Nasi ci racconta un aneddoto molto interessante: McGough ha scritto una raccolta di poesie brevi, Imagery Menagerie, ricche di giochi di parole e le ha corredate di illustrazioni che raffigurano i nonsense verbali. Una traduzione creativa, rispettosa delle intenzioni dell’autore, non avrebbe avuto niente a che fare con le immagini, il che avrebbe creato un senso di straniamento e di incompiutezza. Che fare? Molto semplice, l’autore si è messo a disposizione per illustrare i nuovi testi in italiano in modo da ricreare lo stesso dialogo tra parola e figura. Se leggerete il libro di Nasi troverete molti esempi delle immagini originali e di quelle ricreate, con i testi di riferimento e un’analisi dei progetti di traduzione.

Quest’ultima riflessione ci traduce al penultimo punto che vorrei trattare, ovvero quello dei vincoli. Affinché l’opera creativa del traduttore possa arrivare a destinazione sana e salva, deve individuare i vincoli traduttivi e, come si dice, “starci dentro”. Partiamo dai vincoli intratestuali, che a loro volta si suddividono in formali (qual è la poetica del testo di partenza?), linguistici (sintassi, fonetica, morfologia) e semantici (giochi di parole, neologismi). Procediamo poi con i vincoli paratestuali, che abbiamo appena visto, ovvero il rapporto che esiste tra testo scritto e grafica e con quelli intertestuali, vale a dire la presenza nel testo di rimandi a scritti noti o di citazioni. Terminiamo con i vincoli extratestuali, in cui rientra il già citato “progetto traduttivo”, ma anche elementi a mio parere fondamentali quali l’ideologia (censure, parafrasi, eufemismi) e gli aspetti sociologici/economici (tempi di consegna, retribuzione, scelte editoriali). Non dimentichiamo che il traduttore traduce quasi sempre per altri, che impongono regole o linee guida, e che l’operato del traduttore è sempre legato a un qui e ora, vale a dire a un contesto storico, geografico e culturale che è parte integrante del testo.

In merito a quest’ultimo punto e alle condizioni lavorative dei traduttori di oggi, riporto una frase di Nasi, a mio parere molto vera e significativa:

“Una cultura che voglia conoscere l’altro, accoglierlo degnamente nella propria lingua dovrebbe imparare a rispettare e valorizzare il lavoro dei traduttori, preziosi mediatori di dialogo e provati esperti di creatività.”

Eccoci alla fine di questo percorso, da cui potremmo uscire con il cuore pieno di meraviglia, entusiasmo e passione, o completamente a pezzi di fronte alla grandezza di questo mestiere. Nasi non ci abbandona e ci lascia una cura “per combattere lo stress del traduttore di poesia”. Devo dire che non traduco poesia, ma spesso adotto il metodo proposto, saltando direttamente alla fase tre.

Per prima cosa, se sei in difficoltà fatti una tisana, beviti un caffè o mangia della cioccolata. Vedrai però che, svanito l’effetto energizzante della caffeina o quello rilassante del tè, sarai punto e a capo. Nasi quindi suggerisce una corsetta: allontanati dal computer, dal foglio bianco, sostituisci la fatica mentale con quella fisica. Ma il dubbio, quel gioco di parole che non si sbroglia, il termine tecnico che non trova il traducente, quasi sicuramente verranno a correre con te. Allora intervieni con una cura omeopatica: se sei a un punto morto, il testo su cui stai lavorando ha un livello di difficoltà che non riesci a superare e i risultati ottenuti non ti soddisfano ma, al contrario, ti frustrano e ti fanno sentire incapace e impotente, metti via tutto e abbassa il livello di difficoltà. Vai per gradi, dedicati a qualcosa di più semplice, risolvi, permetti al tuo organismo di generare gli anticorpi e procedi così fino a che non arriverai al livello di difficoltà iniziale che ti sembrava invalicabile mentre ora è a un passo da te.

La traduzione naturalmente non è finita, e l’insoddisfazione del traduttore riaffiora, accompagnata da tutti i sintomi somatici: acidità di stomaco, senso di spossatezza, irrequietezza dei nervi. Si può sempre riprovare con una tisana, o con una corsa, o continuare il trattamento omeopatico, sperando di imbattersi in una neve che contenga il suo attimo, il suo ora. Prima o poi succederà. E se non succederà a voi, succederà a qualche altro traduttore. È probabile.”