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L’ombra del vulcano

Dopo l’articolo scritto qualche tempo fa da Ilenia su L’unico scrittore buono è quello morto, Edizioni E/O, ci imbattiamo di nuovo in Marco Rossari, scrittore e traduttore che affronta entrambe le discipline, la scrittura e la traduzione, appunto, con sguardo profondo ma anche ironico.

Per la #traduzioneacolazione di oggi parleremo de L’ombra del vulcano edito da Einaudi nel 2023, un romanzo in cui le vicende personali e il disamore del narratore corrono paralleli a quelle del protagonista del libro che deve tradurre e si intrecciano con le riflessioni sulla letteratura, sulla scrittura e sulla traduzione.

«Dopo tanti anni ci siamo lasciati. Un giorno di marzo. È accaduto per gradi, e poi tutto d’un colpo».

È un’estate torrida e alcolica, dopo la fine di un grande amore. Mentre intorno a lui la città si svuota, il traduttore combatte con un romanzo esplosivo e maledetto: Sotto il vulcano di Malcolm Lowry. In quei giorni immobili di agosto Milano sconfina nel Messico, e per non morire di ricordi il traduttore si perde tra le pagine a caccia del Console, il protagonista del libro, per incontrarlo, parlare e bere con lui. Perché tradurre, in fondo, è il modo migliore per non restare mai soli. Marco Rossari prende la sua estate del disamore e ne fa un racconto sentimentale, ossessivo e incandescente, in cui autobiografia e finzione si mescolano come la vita e l’alcol, di notte, in un bar di periferia.

Nanda

Tra le primissime pagine del romanzo incontriamo anche una vecchia e amata conoscenza, Fernanda Pivano, la traduttrice della Beat Generation. Nanda “non era ‘un mito’, come l’avrebbero chiamata poi sui giornali, ma un nome imprescindibile. […] una figura di mediatrice importante, un’indispensabile traghettatrice.”

Rossari ci racconta del suo incontro con lei in giovane età, e di “quel rocambolesco colloquio”, di cui non vogliamo però svelarvi nulla per lasciarvi il piacere di leggerlo in prima persona.

Vent’anni dopo, all’autore viene proposta la traduzione di “un libro estremo”, Sotto il vulcano di Malcolm Lowry. “Tutte le teorie sulla traduzione sono vere. E poi arrivano i libri che le scardinano, le teorie.”

Intrecci di storie

Così ha inizio una sorta di simbiosi tra le vicende del Console e quelle del narratore.

“Facevo il traduttore da anni e non mi era mai successo di affrontare un testo così difficile e così aderente alla situazione in cui mi trovavo, un testo maledetto e amatissimo. La traduzione più triste doveva capitarmi proprio in quel momento: l’originale stava per diventare un doppio, uno specchio di infelicità. […]

Di che si trattava? Della nostra storia, per certi versi. Di quella che stavamo vivendo. Forse della storia di tutti. Un capolavoro che funziona come prisma e riflette ogni vicenda. Un romanzo incandescente. […]

Le lettere mai spedite del Console si confondevano con le mie, così come i rimpianti e le paure. Era un incubo, ogni giorno mi immergevo dentro le parole che parlavano di me e con me e con la nostra storia, in un contrappasso diabolico. Aggiustare le frasi, levigare il dolore: la traduzione davvero perfetta.”

Le mille e una definizione della traduzione

Nell’arco della narrazione, Rossari snocciola una serie di frasi fatte sul mestiere di chi traduce, dal cui alone romantico sembra però volersi discostare:

“Tradurre significa ripercorrere i passi di qualcun altro. Calcare le orme, seguire ostinatamente un sentiero per ritracciarlo in un territorio sconosciuto. È un mestiere, artigianato, bulino. È una trattativa, una danza.

[…] Erano tutte cose che ripetevo di continuo in pubblico, ai convegni, in libreria. Ero diventato un nastro registrato, come se avessi ingoiato un libretto di teoria della traduzione da piccolo.”.

L’autore conclude, infatti, affermando che “Tradurre significa anche salire sul ring insieme a un altro scrittore e uscirne con le ossa rotte.”

Per chi traduce, leggere questo romanzo è anche ritrovarsi in una moltitudine di considerazioni che scaturiscono durante ogni incarico: “Bisognava avere pazienza, umiltà, dedizione. Nessuno conosce gli anfratti della scrittura come i traduttori.”

La propria impronta

Nelle sue riflessioni, Rossari parla poi di rispetto e umiltà, ma anche di protagonismo, per certi versi: “E quanta umiltà mi regalava la traduzione: sì, dedicarsi, cancellarsi, aderire a qualcosa di diverso e distante da te, mettere il tuo talento al servizio di quello altrui, cancellarsi, elidersi. E allo stesso tempo – naturalmente – esaltarsi, sostituirsi all’autore, strabordare con il proprio ego, riscrivere (alla lettera) parola per parola un capolavoro della letteratura che uscirà condizionato dal tuo bagaglio lessicale, trapelato dalla tua mente. Il traduttore […] è una nullità e insieme l’unico tramite per far rivivere un libro, è uno schiavo e un dio, ama una lingua e la cancella, la reinventa.”

“-Che cosa ha lasciato di suo, in questa traduzione?

-Tutto. Ci ho lasciato tutto.”

Quante volte ci capita di mettere, più o meno consapevolmente, qualcosa di nostro in ogni traduzione che abbiamo per le mani e di rispecchiarci in queste parole?

Con questa istantanea abbiamo voluto cogliere i punti salienti del libro, che abbiamo letteralmente divorato, e in cui vi consigliamo di immergervi, entrando con tutte le scarpe nei tanti microcosmi e nelle mille sfaccettature da cui è composto.